E’ un punto di vista molto interessante quello espresso da Paul Venezia di InfoWorld. A proposito infatti del’eterna diatriba nella scelta (o meno) dell’adozione di systemd da parte delle maggiori distribuzioni, Venezia si esprime in questi termini:
It indicates that no matter how reasonable a change may seem, if enough established and learned folks disagree with the change, then perhaps it bears further inspection before going to production. Clearly, that hasn’t happened with systemd.
(Indica che non importa quanto sembra essere ragionevole il cambiamento, se abbastanza persone cognizione di causa non condividono il cambiamento, allora sarebbe bene prevedere un’ulteriore ispezione prima di andare in produzione. Chiaramente, questo non è accaduto con systemd)
Ed effettivamente il ragionamento non fa una grinza. L’articolo prosegue con una riproposizione di quelli che sono i dettami Unix e di come questi andrebbero applicati anche a systemd. Questo concetto pare non essere passato. Dopo Debian ed Ubuntu, anche Red Hat ha incluso nella sua nuova release 7 systemd, ma perchè? E soprattutto, cosa succederà in futuro?
Se gli utenti dovessero confermarsi restii ad adottare systemd, soprattutto nell’ambito server e forti di un supporto a Red Hat Enterprise Linux 6 che durerà almeno altri 6 anni, penseranno mai di passare a Red Hat Enterprise Linux 7? Solo il futuro risponderà a questa domanda, ma la questione rimane aperta: systemd si rivelerà una scelta fondata?
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.
Lascia un commento