Saturday’s Talks: ha senso includere una quota OpenSource obbligatoria nei progetti dei propri clienti?

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Quando un fornitore eroga consulenza software presso un cliente generalmente le situazioni in cui si trova sono due: la prima è quella in cui il software che si sta configurando ha una licenza o una sottoscrizione per software open-source (il modello Red Hat, per intenderci) che il cliente sa di dover pagare, la seconda è quella in cui il software è open-source e gratuito, e per il quale il cliente non dovrà pagare alcun prezzo.

In questo secondo caso, a foraggiare e mantenere il progetto ci sono unicamente i manutentori che, gratuitamente, si occupano di sviluppare e far evolvere il progetto in quello che, a tutti gli effetti, è un’azione di volontariato.

Si può fare qualcosa in questo senso?

Se lo è chiesto Manuel Bieh in questo interessante articolo nel quale afferma di aver aggiunto una quota per coprire ed alimentare il software open-source:

starting with my next project I will ask my clients for an hourly rate that is 1 Euro higher than I originally negotiated or I would usually charge

a partire dal mio prossimo progetto chiederò ai miei clienti una tariffa oraria di un euro più alta rispetto a quanto stabilito o quanto solitamente faccio pagare

L’autore afferma che questi soldi (che saranno circa 160 euro al mese) verranno destinati mediante Open Collective ai progetti open-source da lui utilizzati per il cliente.

L’articolo termina con l’incoraggiamento ad utilizzare tutti lo stesso approccio, in modo da rendere il cliente al corrente di cosa muove il mondo delle community open-source ed innescare un circolo virtuoso che possa aiutare di più e meglio il mondo FOSS.

Il tema è certamente rilevante, sebbene dal mio punto di vista utilizzi un punto di partenza sbagliato. Non è infatti il cliente a doversi preoccupare di come la soluzione verrà implementata, affidandosi ad un professionista ciò che si aspetta, a fronte del proprio pagamento, è un lavoro che sia fatto nei modi, tempi e costi previsti. Vedo piuttosto il professionista come la figura che, essendo perfettamente conscia del valore intrinseco dell’utilizzo dell’open-source, possa prevedere l’alimentazione del progetto interessato mediante denaro.

Sensibilizzare in questo ambito trovo che sia molto più sensato.

Se una tecnologia mi permette di guadagnare decine di migliaia di euro l’anno è nel mio interesse che chi si occupa di quel prodotto si senta gratificato ed appagato. In quale misura? Usare percentuali matematiche potrebbe aiutare, ma va considerata la quota di know-how che il professionista fornisce come valore aggiunto per mettere insieme l’esigenza (del cliente) con il prodotto (dello sviluppatore open-source).

Insomma, il tema come si è capito porta diverse riflessioni interessanti. La chiacchierata di questo sabato è tutta intorno a qui: cosa ne pensate?

Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.

Una risposta a “Saturday’s Talks: ha senso includere una quota OpenSource obbligatoria nei progetti dei propri clienti?”

  1. Avatar Massimo Luciani

    La prima cosa che mi viene in mente è il rischio che il cliente pensi che si tratti del pagamento di licenze d’uso. Posto che parliamo di software free as in free speech, not as in free beer, con persone che non hanno una buona conoscenza di questi argomenti bisogna essere molto chiari nelle spiegazioni per evitare incomprensioni.

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