Saturday’s Talks: ha senso investire tempo in progetti OpenSource… Di nicchia?

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Qualche giorno fa, scorrendo le notizie riguardo il mondo Linux ed open-source, sono incappato in un post su Hackaday nel quale si mostra una prima versione di un sistema operativo open-source per il device reMarkable. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un tablet e-ink pensato per sostutire la carta mantenendo una sensazione di scrittura il più simile possibile a quella di matita e carta fisiche.

To that end, remarkable was designed to mimic the feeling of writing on actual paper as closely as possible. But like so many modern gadgets, it’s unfortunately encumbered by proprietary code with a dash of vendor lock-in.

Alla fine, remarkable è pensato per mimare la sensazione di scrivere su un vero pezzo di carta il più possibile. Ma come molti gadget moderni, è sfortunatamente ripieno di codice proprietario ed un pizzico di lock-in del vendor.

Allo sviluppatore Davis Remmel però non andava bene tutta questa chiusura e, dopo parecchio lavoro, ha portato Parabola, una distribuzione Linux basata su Arch e che segue pedissequamente le linee guida per sistemi liberi del progetto GNU, su questo device.

Certo, probabilmente non è il display migliore per riprodurre musica o giocare agli ultimi giochi, ma per editare documenti (anche non originariamente supportati dal dispositivo) può andare bene. Ah, piccola nota: il WiFi attualmente non viene supportato perchè necessità di un firmware proprietario per funzionare.

Ma la cosa che ci ha colpito molto sono i commenti che sono scaturiti da questo post e, più in generale, la domanda che viene da porsi è proprio quella che avete letto nel titolo di questo articolo: ha senso investire tempo in progetti OpenSource di nicchia?

Se da una parte qualcuno si chiede:

The point of an e-ink reader pad is that it runs a month on a charge and it’s always ready to use. Installing a standard linux distro on it kinda destroys the functionality. Looking at the video, it takes almost a minute to boot up, and the desktop interface is really unsuited for the display; graphics glitches galore and everything is incredibly slow, including the input lag of the pen which is painfully apparent and will mess up your writing.

What’s the point of replacing a purpose-built OS with a free OS, if at the same time you’re making the device practically useless?

Lo scopo di un tablet e-ink è quello di poter durare un mese con una ricarica ed essere sempre pronto all’uso. Intallarci una distribuzione Linux standard su di esso praticamente distrugge queste funzionalità. Guardando il video [disponibile sul sito di Remmel, ndt.], impiega circa un minuto per avviarsi, e l’interfaccia desktop è proprio inadatta al display; problemi grafici a parte, tutto è incredibilmente lento, includendo un ritardo nell’input con la penna che sembra davvero fastidioso e rende problematica la scrittura.

Qual è il punto di rimpiazzare un OS specializzato con uno libero, se allo stesso tempo stai rendendo il device praticamente inutile?

Dall’altra alcuni utenti rispondono che adesso tutto è pronto per poter migliorare la cosa, e questo è il vero punto del lavoro di Davis.

Ma la domanda continua a sorgere: se questo sviluppatore invece di impiegare ore (se non giorni) per adattare Parabola a questo dispositivo (che possiamo tranquillamente considerare di nicchia), avesse impiegato quel tempo nello sviluppo di Parabola stesso (o di sua madre, Arch Linux), non sarebbe stato più utile per la comunità?

Il bello di questo nostro “mondo digitale” è che possiamo fare praticamente di tutto con il nostro amato sistema operativo, da installarlo sul nostro laptop preferito a farlo girare sui dispositivi più improbabili, ma non vi siete mai chiesti se tutto il tempo che appassionati, sviluppatori, o più generalmente hacker (nel senso più puro del termine) fosse stato speso sul nostro kernel o sulle distribuzioni, al momento non guarderemmo a “L’anno di Linux sul desktop” come ad un evento passato?

Fateci sapere il vostro punto di vista nei commenti!

Utente Linux/Unix da più di 20 anni, cerco sempre di condividere il mio know-how; occasionalmente, litigo con lo sviluppatore di Postfix e risolvo piccoli bug in GNOME. Adoro tutto ciò che può essere automatizzato e reso dinamico, l’HA e l’universo container. Autore dal 2011, provo a condividere quei piccoli tips&tricks che migliorano il lavoro e la giornata.

9 risposte a “Saturday’s Talks: ha senso investire tempo in progetti OpenSource… Di nicchia?”

  1. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    Molto probabilmente aveva quel tablet e voleva utilizzarlo in quel modo, non esistevano soluzione e la creata !
    Lui avraà imparato molto da questo progetto e alla fine è riuscito ad avere quello che voleva, per cui alla domanda si può solo che rispondere si, ha senso ! Non è il verbo del software libero il concetto, se una cosa non c’è, sviluppata da te e mettila a disposizione di tutti ? Avrebbe potuto aiutare un’altro progetto ? Forse si, ma a lui molto probabilmente serviva quello e quello ha fatto.

  2. Avatar sabayonino
    sabayonino

    E’ come dire : Vado via da una azienda X perchè non ci sto bene , non ho stimoli etc e dico mi metto per conto mio voglio provare a fare qualcosa . non necessariamente qualcosa di nuovo , ma che mi gratifichi (non solo economicamente) … e poi ti senti dire dal primo pinco pallino : ma non potevi andare là che è così è “cosà” etc ..

    Uno si mette in gioco . Può andare bene . Può andare male.
    Non è detto che se anche si fosse messo a contribuire direttamente (sempre se glielo permettono , in un certo senso) avrebbe potuto fare meglio (o peggio , chi lo sà)

  3. Avatar DOMENICO SGARBOSSA
    DOMENICO SGARBOSSA

    Io invece penso sarebbe più utile che ci si dedicasse a migliorare il software esistente.
    Non discuto la libertà di scegliere come impiegare il proprio tempo o quali possano essere le priorità personali però, se ci fermiamo a riflettere, dedicare i propri sforzi ai progetti esistenti sarebbe più utile per tutti.
    Il problema della frammentazione del software è aumentato esponenzialmente e sta diventando una cosa delirante.
    “Eh, ma tu vuoi che si rinunci alla possibilità di ognuno di decidere a quali progetti dedicarsi o a crearsi il proprio fork personale?”
    Non necessariamente, però penso dovremmo porci un paio di domande:
    – ha senso avere venti versioni derivate dello stesso applicativo che poi non vengono manutenute e non vanno mai oltre lo stadio “beta”?
    – ha senso creare in continuazione nuove distro, che magari raccolgano un certo bacino di utenza, per poi lasciare che il progetto si areni dopo pochi anni creando malcontento tra gli utenti che hanno creduto nel progetto?
    Penso che trovando la giusta via di mezzo ne trarremmo tutti notevole beneficio

  4. Avatar Mauro Miatello
    Mauro Miatello

    per me ha senso SE è una nicchia priva di alternative o competitor, come in questo caso (non c’era un OS libero per questo device); SE invece si forka un progetto per l’n-esima volta, va bene tutto ma ad un certo punto mi vien da dire “cosa puoi fare/dare in più che non abbiano già fatto/dato gli n che ci hanno provato prima”? e non puoi piuttosto supportare uno di questi progetti invece di iniziarne un altro? in soldoni, non mi piace l’idea di reinventare la ruota

  5. Avatar Guglielmo Cancelli
    Guglielmo Cancelli

    Larry Page e Sergey Brin avrebbero potuto migliorare Lycos, AltaVista e Yahoo invece di creare Google da 0….

  6. Avatar Massimiliano
    Massimiliano

    Concordo col paragone: se uno se ne va da una comunità è magari proprio per ritrovare le motivazioni nello spendere il tempo (prezioso) della propria esistenza. In una azienda un buon manager può fare la differenza nel motivare e organizzare i propri collaboratori a convergere verso un obiettivio. A me pare che nel mondo open scarseggino “dirigenti” di questo tipo (meglio chiamarli natural leader) capaci di creare comunità e tenerle coese verso un obiettivo. Il più delle volte sono i progetti interessanti a fare da catalizzatori. Al contrario abbondano le “rock star”, cioè programmatori talentuosi e concentrati su obiettivi auto-imposti. Ma forse i cavalli corrono di più proprio quando sono liberi nella prateria, non quando tirano il carro.

  7. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    La community KDE, ha lavorato molto per cercare di capire come motivare le persone, c’è un recente post di Nate Graham sul suo blog, dove spiegava la difficoltà. Nelle aziende puoi motivare con premi, stipendio ecc. nelle community la motivazione deve essere personale, tuttavia anche il progetto può aiutarti, cercando di lasciarti lavorare su quello che vuoi. Meglio uno sviluppatore che lavora su quello che vuole ma per la community, che uno sviluppatore in meno. Comunque è evidente che non è possibile paragonare i due mondi.

  8. Avatar Massimiliano
    Massimiliano

    La carota è uno dei mezzi, non necessariamente il più efficace. Quando ci si aspetta denaro in cambio si tende più a pubblicizzare il risultato che a lavorarci con vera dedizione e motivazione.
    Le aziende che riescono a motivare anche personalmente sono poche ma ci sono: accade ad esempio in alcune cooperative o in determinati settori, e spesso c’è una leadership intelligente dietro. Il caso di Red Hat descritto da Jim Whitehurst nel suo libro “The open organization” ne è un esempio: l’azienda è diventata ricca per il suo modo di lavorare e per la motivazione delle persone, non il viceversa. Ho conosciuto aziende ricche che stanno in piedi: abbassa gli stipendi e la gente se ne andrà il giorno dopo. Anche in presenza di denaro lo spirito di partecipazione ci vuole, altrimenti il collante rischia di non reggere nel tempo per insoddisfazione, rivalità e attriti vari.
    Di recente, il caso dello smart working sta facendo emergere le aziende che meglio si sono adattate e hanno saputo andare incontro alle esigenze dei dipendenti che trovano motivazione in più per restarci. Miglioramento anziché incentivo economico, ed anche in questo caso la dirigenza illuminata e capace fa la differenza.
    Linus Torvalds è a suo modo un esempio: partendo “Just for fun” crea qualcosa di attraente che catalizza, ma non esercita una vera e propria leadership e spesso viene criticato se non osteggiato. Ho l’impressione che sia più ammirato (invidiato? imitato?) che seguito.
    Oltre a chiedersi da cosa è spinto il singolo programmatore, bisognerebbe chiedersi quale leader, capace e intelligente, sarebbe disposto a guidare una comunità per un progetto senza troppa gratificazione piuttosto che tenere il timone di un vascello carico di tesori.
    Non c’è da stupirsi se le collaborazioni in questo settore, quando manca struttura, appaiono “bizzarre” o inconcludenti magari perché le motivazioni risiedono solo nella mente di alcuni. Di conseguenza i risultati.

  9. Avatar Raoul Scarazzini

    Penso che questo paragone non stia in piedi. Google, Lycos, AltaVista, etc. non erano progetti community a partecipazione volontari, ma software chiusi gestiti da aziende autonome.

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