
Definito dagli organizzatori come “Il più grande evento in Europa sull’Intelligenza Artificiale” si è appena concluso AI WEEK, una conferenza alla quale, stando ai dati forniti, hanno partecipato più di diciassettemila persone in due giorni.
Grazie a Kiratech, l’azienda per la quale mi occupo di Training, ricerca e sviluppo, tra quel numero esorbitante di partecipanti c’ero anche io.
Per sgomberare il campo da ogni tipo di equivoco a proposito del fatto che l’AI non sia cool mettiamo subito la foto con il robot umanoide, così siamo tutti più sereni:

Ed aggiungiamo anche quella del robot cagnolino, giusto per toglierci il pensiero:

È bene però adesso concentrare il resoconto sugli aspetti seri, ossia il giudizio sulla conferenza in sé e, se possibile, il giudizio sullo stato dell’Intelligenza Artificiale nell’anno domini 2025.
Ambizioso, lo so.
Partiamo.
È chiaro a tutti come l’AI sia l’argomento del momento (bella scoperta) e, forse proprio per questo, l’evento non è definibile propriamente come “tecnico”. Le sessioni pratiche e quelle che sono state chiamate “workshop” in realtà hanno molto poco di riproducibile, tanto che forse gli incontri più interessanti sono stati proprio quelli che potremmo definire filosofici.
L’audience è divisa sostanzialmente in due, riflettendo il momento storico che stiamo vivendo. Ci sono da una parte quanti stanno cercando di capirci qualcosa, i quali, robot umanoidi a parte, si chiedono se questa AI sia in qualche modo utile per il business, mentre dall’altra parte ci sono quanti hanno pensano di aver capito, e si rivolgono alla platea presentando soluzioni che vorrebbero agevolare ed accelerare lo sviluppo del software, consentire un accesso istantaneo alle informazioni complesse, fino ad arrivare a regolare gli accessi al gioco d’azzardo.
Ad onor del vero c’è poi una terza fetta di partecipanti, rappresentata da quanti osservano distaccatamente questo grande carrozzone e si interrogano sulle questioni pratiche e etiche.
Molte slide, molte icone, molte cornici e cuoricini, ma, come si diceva, pochissime dimostrazioni pratiche o, per dirla come piace ai MMULlini: pochissimo terminale.
Ma è un’altra assenza ad aver pesato in maniera determinante, ossia quella dell’open-source.
Impossibile attribuire la mancanza giustificandola con il fatto che sia “argomento da addetti ai lavori“, poiché se una cosa è emersa con chiarezza è il fatto che tutti parlano di LLM (Large Language Models) e delle tecnologie che consentono di interagirvi, senza però specificarne l’origine.
O, per dirla meglio, la sorgente.
Non c’è la minima coscienza della provenienza dei dati forniti dagli LLM, né la volontà di regolamentare comunemente l’alimentazione di tali informazioni. Nulla di sorprendente sia chiaro, lo abbiamo visto parlando del tentativo della Open Source Initiative di creare la definizione di AI open-source e di tutti i problemi che ne sono derivati, ma è qualcosa che colpisce.
Per il mercato, qui rappresentato da moltissime aziende, il tema dell’open-source nell’AI non è rilevante.
È il problema principale che emerge da una conferenza che vorrebbe fornire spunti e prospettive in merito al futuro dell’AI e che dovrebbe interrogarsi su questi temi che sono allo stesso tempo tecnologici ed etici, eppure in due giorni non ho sentito in alcuno speech emergere la parola open-source.
Potrei essere stato semplicemente sfortunato o poco attento, ma ciascuna sessione è stata coperta in modo ineccepibile in termini di regia, audio e formato, ed è stato sempre un piacere sedersi e prepararsi ad ascoltare.
Di tutti gli altri “difetti” dell’evento importa poco. Le sessioni in sovrapposizione (a cui era quindi impossibile partecipare contemporaneamente), l’utilizzo di cuffie per diffondere le voci degli speaker che non vengono mai sanificate (in barba all’esperienza COVID), l’elevato costo di partecipazione che poco giustifica i contenuti tecnici scarsamente rilevanti e l’assenza di una connessione WiFi gratuita (anche scarsa) per i partecipanti.
Poco avrebbe importato se da qualche parte qualcuno si fosse posto il problema open-source.
Ed arriviamo alla conclusione, dicendo come sarà tutta una questione di attesa. Mentre, cavalcando l’onda dell’entusiasmo, è già arrivata la mail per l’AI WEEK 2026 (non è uno scherzo), per chi vuole trovare un senso a tutto questo si tratta solo di aspettare per veder terminare l’enfasi del momento (o l’hype, per quelli che preferiscono gli inglesismi), per raccogliere quello che verrà, ossia le cose realmente utili.
E magari i temi realmente importanti, come ad esempio la risposta alla domanda di questo signore qui:
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.
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