Il mercato attuale è compatibile con il volontariato open-source? Ecco una storia che dice di no

Quando chi lavora nel mondo open-source prova a spiegare come è possibile fare i soldi con un prodotto che si può scaricare e usare gratuitamente, generalmente si riconduce tutto al fatto che quelli venduti sono servizi, non prodotti.

L’intuizione delle subscription di Red Hat, che risale ai primi anni 2000, ne ha decretato il successo e la dominanza nel mercato e difficilmente si vedrà deviare da questo corso l’azienda dal cappello rosso e le altre concorrenti che si contendono i clienti.

Il problema è che, alla fine, dietro le subscription ci sono comunque dei prodotti che vengono creati, sviluppati e manutenuti, e dietro questi prodotti ci sono persone. Uno sviluppatore open-source che è dipendente di un’azienda contribuisce riversando i propri sforzi a beneficio della collettività, ed alla sera porta a casa uno stipendio che la sua azienda (ed in questo senso Red Hat è da sempre in prima linea) gli garantisce.

Ma cosa succede quando le contribuzioni sono volontarie? Quando cioè dipendono dal buon cuore di chi mette a disposizione il proprio tempo (che a volte è tanto, tantissimo) per la gestione di questi progetti?

Abbiamo recentemente parlato dello sviluppatore di Kapitano, che ha deciso di chiudere il progetto per via di tutti gli attacchi ricevuti. Per sua stessa ammissione, il progetto era un hobby e la scelta è stata automatica: zero stress, adios.

Diversa è la storia che riportiamo oggi, relativa a Scarlett Gately Moore, una sviluppatrice del progetto KDE che è stata costretta ad abbandonare i progetti di cui si occupava per ragioni economiche: ha bisogno di un lavoro retribuito che le permetta di sopravvivere, e persino la sola ricerca di questo è incompatibile con il peso della gestione dei progetti open-source di cui fino ad oggi si è presa cura.

Complice un incidente nel quale è stata coinvolta (tutti sanno quanto la sanità statunitense possa pesare sull’economia familiare) la sviluppatrice ha annunciato di aver completato le sue incombenze e di aver effettuato i passaggi di consegne relativi alle attività di gestione e, almeno in questo caso, i progetti che curava non subiranno – almeno sulla carta – alcuna interruzione.

Seppur nettamente differente dalla storia di Kapitano, la sensazione di amarezza è la stessa, poiché è facile immaginare come un aspirante contributore, leggendo notizie come queste, possa perdere ogni tipo di entusiasmo.

Dall’altro lato vien da pensare a come sia sacrosanto e doveroso anteporre il proprio benessere di fronte al volontariato. Ci sarà pure una ragione se nello spiegare le procedure di salvataggio sugli aerei spiegano prima di infilarsi la propria maschera d’ossigeno e, solo dopo, aiutare gli altri.

Insomma, questo articolo non vuole essere un giudizio, un consiglio o altro, ma semplicemente la narrazione di alcuni fatti, le conclusioni, se volete, tiriamole insieme nei commenti.

Certo è impossibile non pensare alla consueta immagine di Xkcd:

Giusto per la cronaca, non è nel Nebraska che vive la protagonista di questa storia, ma in Arizona.

Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.

2 risposte a “Il mercato attuale è compatibile con il volontariato open-source? Ecco una storia che dice di no”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *