Shuttleworth analizza sobriamente la grande delusione dei big dell’IT verso OpenStack

2

Non è una novità il fatto che i big dell’IT (citiamo solamente HP, CISCO, IBM ed Intel) nell’ultimo anno abbiano rivisto totalmente il loro grado di impegno nell’ambito dello sviluppo delle piattaforme cloud.

A dispetto degli iniziali annunci in pompa magna in cui ogni grande azienda promuoveva la propria versione di OpenStack, non vedremo mai prodotti dai nomi altisonanti quali HPE OpenStack o CISCO OpenStack.

Ammissione di passo falso, bocciatura di una tecnologia, ricollocazione delle strategie aziendali, chi può dire quali siano state le motivazioni alla base di queste scelte…

Un momento.

Qualcuno lo dice, Mark Shuttleworth, in maniera molto semplice:

Here’s the simple fact, HPE was never going to sell an HPE OpenStack because no one was ever going to buy an HPE OpenStack and HPE has zero f*****g clue how to operate software. But HPE will do a great job at selling servers under a Canonical OpenStack.

Ecco come stanno semplicemente le cose: HPE non avrebbe mai venduto un HPE OpenStack perché nessuno avrebbe comprato un HPE Openstack e HPE non ha *alcuna* (eufemismo) idea di come intervenire nel software. Ma HPE farà un grande lavoro vendendo server che utilizzeranno l’OpenStack di Canonical.

Il tutto nell’ambito di un’intervista nella quale il CEO di Canonical si dice convinto di come la tecnologia OpenStack prospererà negli anni a venire e di come i big dell’hardware dovranno cogliere l’opportunità di vendere server in grado di supportare il tutto, a dispetto del pugno in faccia (testuali parole) che alcune di queste hanno ricevuto dopo aver tentato di appropriarsi dell’intero stack, fallendo miseramente.

Secondo il CEO di Canonical quindi questa delusione potrà essere attenuata dalla vendita di server.

A ciascuno il suo, verrebbe da dire. Ma la certezza con cui Shuttleworth indica la piattaforma di riferimento come quella venduta dalla sua società fa pensare che le delusioni, per tutti, potrebbero non essere finite.

Perché all’interno della OpenStack foundation gli attori (e gli sponsor, chi cioè porta i soldi per mantenere tutto lo show) sono moltissimi, ciascuno con i propri obiettivi, e l’arroganza nel business è sempre cattiva consigliera. Se poi aggiungiamo che alle porte c’è Azure Stack, indicato da Microsoft come vero e proprio competitor di OpenStack, il ragionamento è completo: ne vedremo delle belle!

Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.

2 risposte a “Shuttleworth analizza sobriamente la grande delusione dei big dell’IT verso OpenStack”

  1. Avatar Kim Allamandola
    Kim Allamandola

    Per quanto mi riguarda certe tecnologie han senso solo in ambiti molto limitati, ad es. se si è un hosting che vende VPS e anche qui avrei da ridire. Quel che penso è che siamo alla fine di un ciclo tecnologico e mentre un tempo università e grandi aziende facevano ricerca oggi fan solo “attività manageriale” e quindi non si imbarca nessuno in progetti di lungo periodo.

    Pensate solo a cosa si poteva (può) fare con OpenSolaris (IllumOS): siete un hosting e volete un VPS attivabile in un click? Ok, pensate alle zones. Volete deployare n macchine in un datacenter? Ok, un bel zfs send dei BE (boot environment) configurati come si vuole. Già con quelle tecnologie, oramai vecchie di un po’ di anni e abbondantemente rodate possiamo gestire infrastrutture IT moderne complesse con un’overhead ed una complessità qualche ordine di grandezza in meno di OpenStack&c.

    Il solo vero problema è che la SUN è morta come lo sono la vecchia DEC, Symbolics, l’SGI, … e quelle rimaste (dalle UNIX company come HP, IBM ecc alle grandi aziende che facevano ricerca come l’AT&T alle università ecc) han abbracciato la pratica manageriale di scuola inglese: solo progetti “a basso costo” con tecnologie attuali e risultati in pochi mesi.

  2. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    Analisi che condivido in toto. Ed aggiungo anche il salto generazionale: OpenStack è l’effimera unione di tecnologie già esistenti reinventate da capo. Anziché integrarsi con l’esistente, sfruttando know how ed esperienze passate si preferisce ripartire da zero con tutto, accelerando per giunta i tempi di release. Quindi il doppio del numero di bug con la metà (quando va bene) del tempo per risolverli.
    Ed è questo su cui il buon Shuttleworth ha ragione: chi a parte Red Hat e Canonical può sopportare queste condizioni di base? Nessuno. Ma rimane la domanda base: chi alla fine farà i soldi? E questo è ancora tutto in forse…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *