SharkLinux: la distro sviluppata interamente da uno smartphone Android

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SharkLinux è la dimostrazione che ormai chiunque, da solo e senza necessitare di chissà quali risorse, possa essere in grado di “creare” una distribuzione tutta sua.

SharkLinux è l’ennesima distribuzione basata su, rullo di pinguini, Ubuntu (Xenial LTS) e desktop MATE. Nulla di eclatante se non fosse per il fatto che:

  • è un progetto sviluppato da una persona sola, Marcus Petit;
  • è stata stata sviluppata interamente utilizzando un telefono Android collegato ad una piattaforma cloud;
  • la release ha suscitato così tanto interesse nella community che DistroWatch ha deciso di spostarla dalla waiting list alla categoria new release con ben 6 mesi di anticipo… e Petit non aveva scritto mezza riga di documentazione!

Nonostante sia basata su Ubuntu, a parte il package manager, non hanno praticamente nulla in comune. Non è una distro rivolta ai nuovi utenti ma più che altro agli sviluppatori e a tutti quegli utenti che fanno particolarmente affidamento alla virtualizzazione. Tra i software forniti infatti:

  • KVM
  • QEMU
  • libvirt e Virtual Machine Manager
  • Vagrant
  • Docker e Kubernetes
  • Alien, Linux Brew e Nix Package Manager
  • Powershell

Una serie di strumenti che di certo non si addicono all’utente medio. Non viene nemmeno installata la suite completa di LibreOffice, di cui troviamo solo Write e Calc.

L’installazione dei pacchetti è ancora più singolare: gran parte del software viene hostato su Github e lo sviluppatore non pre-compila i pacchetti. I pacchetti vengono compilati da sorgente tramite degli installer one-click, cosa che la rende quasi una rolling release.

Non esiste il versioning su SharkLinux visto che il sistema fa upgrade in automatico (la feature si chiama AutoSystem) ed usa i pacchetti upstream.

Arriviamo ad una feature molto azzardata: il Sudo Policy editor, per modificare in maniera super-veloce (e super-pericolosa) il file di sudoers:

SharkLinux does not require a password when sudo is used in a terminal. You can change the default to require sudoers to confirm their password.

SharkLinux non richiede una password quando sudo è utilizzato da terminale. È possibile modificare il comportamento di default in modo che i sudoers debbano confermare la loro password.

Ebbene, di default si può zampettare spensieratamente nella CLI facendo ogni sorta di danno possibile ed immaginabile e anche oltre! Da sistemista comprendo il perché della feature… ma non me la sentirei comunque di proporre una cosa del genere out-of-the-box.

Una distro oltremodo particolare, sviluppata “senza mai nemmeno toccare una tastiera ed esclusivamente accedendo ad un ambiente cloud tramite uno smartphone Android”, che certamente rispecchia le esigenze del suo creatore… e a quanto pare anche di moltissimi altri utenti!

 

Affascinata sin da piccola dai computer (anche se al massimo avevo un cluster di Mio Caro Diario), sono un’opensourcer per caso, da quando sono incappata in Mandrake. Legacy dentro. Se state leggendo un articolo amarcord, probabilmente l’ho scritto io.

Una risposta a “SharkLinux: la distro sviluppata interamente da uno smartphone Android”

  1. Avatar Kim ALLAMANDOLA

    Un punto su sudo password-less, sistemi ben più storici e “enterprise” han fatto scelte simili, OpenSolaris per esempio ha(veva) pfexec (equivalente di sudo per l’utente) usabile di default senza autenticazione alcuna, solo per citare un esempio famoso, gli utenti FreeBSD usano normalmente sudo senza autenticazione per i membri del gruppo wheel e tanti altri.

    Questo ha ottime ragioni per esser così ed in effetti l’uso stesso di sudo sui DESKTOP (attenzione a quest’ultima parte, ovvero su sistemi monoutente) che si fa tipicamente su Ubuntu è semplicemente una presa per i fondelli. Sudo ha senso su sistemi multiutente dove più soggetti han compiti “amministrativi”, nel caso permette sia di evitare una password comune sia di loggare chi fa cosa sia di limitare quel che un utente “privilegiato” può fare, ma altrimenti non solo non serve ma è pure deleterio: il “su” classico faceva si che vi fosse un utente root, in genere con una password diversa, sudo fa si che il bipede medio scelga una password banale e con quella può far tutto.

    Se vogliamo aver “paura” dei privilegi allora è il caso di passare a sistemi funzionali/IaC tipo NixOS (che repology alla mano ha tra le altre cose molti più pkg e molto più aggiornati di Ubuntu, andando praticamente alla pari con AUR) o GuixSD. Questo fa bene per un’enorme quantità di ragioni.

    A parte quanto sopra questa distro non mi pare una distro ma solo un fork embedded di Ubuntu e pure alquanto inutile per il 99.99999999% dell’utenza. Il solo fatto di presentare come un vanto l’uso di uno smartphone e servizi cloud classifica il suo autore e forma un grave pregiudizio sulla distro.

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