Saturday’s talks: il ritardo di Fedora 29, l’instabilità e la fretta che domina lo sviluppo nell’OpenSource

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La chiacchierata del weekend che voglio proporre questa settimana nasce da una notizia circolata recentemente: il ritardo nel rilascio di Fedora 29 a causa di una serie di bug definiti blocker che pregiudicano la stabilità della release ed è quindi necessario risolvere prima di rendere pubblica la distribuzione.

Il processo che determina il GO o NO-GO nel far uscire la distribuzione è gestito internamente alla community, nella lista test-announce, e per via dei succitati bug in questo caso siamo di fronte ad un NO-GO. Ora, Fedora è una distribuzione che potremmo definire rolling, per la quale ogni sei mesi esce una nuova release. In questi sei mesi le nuove funzionalità introdotte possono essere poche, molte o moltissime, ma la sostanza è che, potenzialmente, all’utente finale è richiesto un major upgrade ogni sei mesi.

Scrivo richiesto poiché, ad oggi, l’ultima release supportata (in termini di aggiornamento pacchetti e sicurezza) è la 27, uscita alla fine del 2017, quindi un anno fa.

Un anno.

Questo è il limite oltre il quale non si può andare se si vuole rimanere aggiornati. Ma lo sanno anche i sassi, un major upgrade non è quasi mai indolore. Ed è proprio qui il punto della discussione: vale la pena investire, a meno di non essere uno sviluppatore della medesima, tempo e risorse per utilizzare una distribuzione che in un anno sarà già prossima a non essere più supportata? Più in generale: è questo un modello di sviluppo benefico per l’utente desktop a cui, almeno nominalmente, Fedora è destinata?

Ed il discorso si può ampliare anche ad altri progetti, uno su tutti OpenStack, i cui cicli di sviluppo sono di sei mesi: sei mesi per un prodotto che si pone come base dell’infrastruttura del proprio cloud privato. A fronte di piani di investimento aziendali pluriennali cosa sono sei mesi?

Ed arriviamo quindi al punto: è possibile davvero utilizzare prodotti community per la propria produttività? Pensare cioè che il Free as in Freedom sia applicabile all’ambito professionale? I presupposti dicono di no, a meno di omettere di ammettere (si perdoni il gioco di parole) che ogni major upgrade è un bagno di sangue. Infine, ci sarà pure una ragione se tutti i prodotti professionali, dai sistemi operativi (Microsoft Windows, macOS) alle piattaforme di gestione (VMWare ed affini), hanno tempistiche di sviluppo molto più estese ed umane rispetto ai sei mesi imposti dal modello Fedoriano.

Cosa si sta rincorrendo?

La qualità, l’introduzione di nuove funzionalità o altro? Nell’ambito software qualità e novità sono due componenti in antitesi, da sempre. Ed a voler ben vedere, quali sono i sensibili miglioramenti nella user experience tra Fedora 27 e Fedora 28?

In conclusione, tutto si riduce ad una domanda di fondo: che fretta c’è?

Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.

8 risposte a “Saturday’s talks: il ritardo di Fedora 29, l’instabilità e la fretta che domina lo sviluppo nell’OpenSource”

  1. Avatar Kim ALLAMANDOLA

    Mh, cominciando dal titolo la fretta non riguarda il mondo FOSS in particolare ma la società in generale che deve muoversi di corsa per impedire alla gente di pensare e quindi mandare a quel paese buona parte delle attuali classi dirigenti, smontare i loro assunti, reagire positivamente ecc. Oggi il trend è IMPEDIRE alla gente di pensare, si comincia dalle riforme scolastiche per eliminare la cultura, il pensiero autonomo, critico, il ragionamento individuale sostituito dal nozionismo, la capacità di vedere il quadro generale non solo il dettaglio ecc. Si prosegue creando condizioni di vita con comfort spinto misto a velocità allucinanti per non lasciare il tempo di pensare a chi eventualmente abbia ancora qualche neurone operativo dopo il trattamento scolastico.

    Arrivando al modello FOSS ed il business: vorrei far notare che un tempo *non esisteva* altro che il FOSS. E non nell’ex unione sovietica ma negli USA, stato non proprio socialista, così per dire, ed era praticato da vendor privati, quindi non proprio mecenati impegnati nel sociale. A quell’epoca l’innovazione, quella vera, correva a ritmi oggi ignoti, oggi siamo nel medioevo, rispetto all’epoca d’oro classica. Le aziende del tempo, nonostante la molto *maggiore* regolamentazione e le imposte molto più alte, per loro, macinavano utili e vivevano felici.

    Quel che è cambiato poi è l’introduzione del Modello Ford ad ogni livello della società, allora il manager, un tempo noto come “contabile” (contabiscotti/contafagioli nel mondo angolofono), “economo” ecc è diventato Re. Allora i *suoi* guadagni sono saliti alle stelle e tutto il resto li ha pagati. Questo in generale, non solo nell’IT.

    Il mondo business semplicemente al tempo funzionava così:
    – clienti NON IT
    – aziende IT che producevano ferro
    Il software era libero, perché non si vendono idee ma prodotti, cresceva nei laboratori delle aziende che producevano ferro, laboratori liberi, condotti da tecnici a cui veniva semplicemente detto “abbiamo questo da fare, automatizzatelo, modellizzatelo, buon lavoro”, niente ITIL, niente Kaban, Lean, “teamworking istituzionalizzato”, metriche ecc. ed era anche prodotto da analoghi laboratori universitari i cui componenti erano interessati a lavorare bene proprio per trovar lavoro grazie alla loro abilità.

    Non c’è innovazione senza libertà, con la libertà c’è la cooperazione, con queste il progresso, le pance piene, la gente soddisfatta. Del resto guardatevi in giro: nel mondo chi mediamente stà meglio? Paesi “liberi” o paesi autoritari?

    Oggi il GRAVE problema del FOSS è che mancano le teste che un tempo uscivano dai laboratori universitari, semplicemente perché questi non ci sono sostanzialmente più, non c’è manco più la tesi triennale, il dottorato oramai nel 99% dei casi copre progetti che un tempo copriva una tesi ordinaria, oggi equiparata alla triennale. Questo ha portato ad un peso enorme dei big di turno, che oggi sono per lo più aziende che vendono software, ovvero idee/ricette di cucina, aziende che per esistere han bisogno di ambienti chiusi, ignoranza, che usano la community, quel che ne resta, per avere sviluppo a gratis opportunamente incapsulato in ecosistemi proprietari o comunque talmente self-contained che altre aziende non IT se vogliono supporto pagano il vendor di turno perché non potrebbero gestirlo in casa, idem per il training. Quando abbiamo per dire il mondo che chiama MAC Address l’indirizzo hw delle schede di rete ed un vendor stranoto (Cisco) che lo chiama BIA, quando abbiamo mostri tipo Alfresco o OpenBravo che in effetti potrebbero essere un’epsilon di quel che sono è ben chiaro con che criterio si sviluppa. Sfortunatamente con le università “al servizio del mercato” i nuovi sviluppatori altro non conoscono che questo modello. Abbiamo così piattaforme chiuse, flessibili come sbarre di ferro, destinate a diventare torri di babele ingestibili e via dicendo.

    In chiusura: ad oggi NON ESISTE un OS aggiornabile da una release all’altra senza problemi. Non Solaris, Non AiX, non OSX, non Windows, non GNU/Linux, non FreeBSD, True64, … ad oggi quelli con gli aggiornamenti più gestibili per il fatto che sono sostanzialmente mere reinstallazioni in locale, automatiche, sono NixOS e GuixSD, essendo ambienti funzionali l’install di fatto è una foresta di symlink, una volta aggiornata la configurazione di fatto il sistema è come fosse reinstallato attraverso nix/gnu store. E questa è una delle ragioni per cui li ritengo il futuro di GNU/Linux in particolare e del modo in cui deployamo gli OS in generale, passando dal vecchio “estrai archivi” al ‘nuovo’ “funzionale”.

    Scusate la lunghezza.

  2. Avatar Eudora
    Eudora

    Alla fine penso che la filosofia di Debian sia quella a me più congeniale. Una nuova versione esce “quando è pronta” e non perché sono passati troppi mesi.

    Purtroppo però è vero che si è scatenata una corsa all’update infinito. Con situazioni paradossali come le versioni fresh di LibreOffice in cui è lo stesso team di sviluppo a dirti che non è adatta all’uso di produzione. Chiamarla beta non sarebbe meglio?

  3. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    Esistono distribuzioni come Fedora che hanno solo 6 mesi di supporto e NON è rolling release, esistono distribuzioni rolling release e fix release con supporto esteso. Quindi dipende uno cosa ci fa con il computer ! Personalmente utilizzo sia una rolling release (Tumbleweed) che una fix release (openSUSE 15) e non vedo quale sia il problema. L’utente home è molto diverso dall’utente enterprise, sono due mondi con esigenze completamente diverse. In ambito home pc si preferisce che le applicazioni e l’ambiente desktop sia una versione recente, così da poter godere delle ultime novità, novità che in ambito enterprise non interessano e dove l’unica cosa importante è la stabilità.

  4. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    Il centro dell’articolo vuole essere il fatto che per mantenere la frequenza di sei mesi la qualità generale del software proposto è tremendamente bassa.
    Frasi come “con gli avanzamenti semestrali non si deve mai più reinstallare da zero” sono ciò che secondo me sta dando il colpo di grazia all’utilizzo di Linux sul Desktop (non che sia stato mai sul punto di avere un senso eh), tant’è che la maggioranza degli sviluppatori oggi utilizza un MAC.

  5. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    Sono al 100% d’accordo con quello che scrivi, ed in particolare con il discorso Debian.

    Ovviamente avere una release ogni 2-3 anni per quanto stabile è poco “devop”… Oggi c’è la CI, il CD, il sistema di review… È impossibile si rompa qualcosa e ci sono unicorni che cavalcano arcobaleni ovunque.
    Poi però tutto va in crash e bisogna fare reboot.

    🙂

  6. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    Si, hai perfettamente ragione, non so perché avevo in mente che il supporto di Fedora fosse di soli 6 mesi, dopodiché non cambia di una virgola il senso del mio discorso. Personalmente preferisco una rolling release che cicli di sviluppo così brevi, tuttavia come ho scritto Gnu/linux offre varie possibilità ed è proprio questo che lo rende a mio parere ottimo. Rispondendo a Raoul Scarazzini invece, non capisco perché questo tipologia di aggiornamento dovrebbe dare il colpo di grazia, come ho già scritto esistono le versioni Lts, ma non sono per niente d’accordo che la qualità di una rolling release debba essere più bassa di una Lts, sono due cose diverse, ognuna con pro e contro, ho avuto spesso più problemi con le Lts di Ubuntu che non con Tumbleweed. Tuttavia occorre riconoscere che una Lts di norma è meno soggetta a problematiche, ma questo non significa che la qualità è migliore. Se una versione di un software viene rilasciato con svariati bug e problemi ed è la versione che finisce su una Lts, gli utenti dovranno convivere con le problematiche di questo software, per tutto il tempo di supporto Lts, in una rolling release avrà presto correzioni con le nuove versioni. Questo per dire che il discorso non è così semplice…e a poco vale portare l’esempio delle distro enterprise, perché quello è un’altro mondo, altre esigenze, altra utenza.

  7. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    Il mio non è un parere personale, sto raccontando un’esperienza viva.
    Il laptop Lenovo W541 su cui *devo* usare Fedora, che da specifiche dovrebbe fare anche il caffè, ad ogni cambio di release (seguendo i sacri crismi della dnf system-upgrade download –refresh bla bla) necessità di diversi aggiornamenti prima di diventare “stabile” ed utilizzabile.
    Tralasciando i problemi di finestre che si chiudono o banalmente di errori relativi a componenti che non bloccano il sistema, capita sovente di sperimentare freeze veri e propri. Kernel panic. Situazioni in cui l’unica alternativa che si ha è quella di premere il bottone di accensione, magari mentre sei nel mezzo di una video chiamata importante, con mille terminali e schede browser aperti.
    Nelle ultime due settimane ho avuto 8 crash differenti, due dei quali riguardanti il Kernel, tutti documentati nel “problem reporting” tool.
    Ora, magari l’hardware è quello che è, la doppia scheda video Intel/NVidia non aiuta (nota ad esempio che se non effettuo il blacklist del modulo nouveau e non rigenero l’immagine initramfs ad ogni nuovo kernel ho costantemente dei blocchi).
    Non è una user experience degna di tale nome, ma la distro invece è spacciata come “Desktop”, da qui tutto il mio discorso.

  8. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    Purtroppo è noto che le doppie schede non sono molto supportate in Gnu/Linux e che Nvidia ha un buon supporto solo con i driver proprietari che però non sempre sono il massimo nelle distribuzioni “innovative” (inteso come distro che utilizzano software molto recente). Dopodiché non conosco Fedora, la installai tempo fa, ma non ebbi molta fortuna.Ciao

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