
Quanti di voi sapevano che il progetto Flatpak era in crisi? Io, personalmente no. Ho sempre dato per scontato come dietro a questo sistema di pacchettizzazione dei software, alternativo all’amato/odiato Snapd di Canonical, ci fosse un’organizzazione stabile e ben consolidata.
Come dimostra questo articolo di Linuxiac, mi sbagliavo.
L’articolo fa eco alla pubblicazione da parte di Sebastian Wick – attuale leader del progetto – del post intitolato “Flatpak Happenings” nel quale Wick approfitta della presentazione della release 1.17.0 di Flatpak per aggiornare gli utenti su alcune vicissitudini avvenute in seno al progetto negli ultimi sei mesi.
Già, perché il primo punto che balza all’occhio è proprio questo: questa è stata la prima release negli ultimi sei mesi.
Prima, di fatto, il progetto si era praticamente fermato: i maintainer originali avevano lasciato, le pull request non venivano più revisionate, e lo sviluppo languiva senza una guida chiara. In sostanza, Flatpak era in una fase di stagnazione che metteva a rischio la sua evoluzione e persino la sua sopravvivenza.
La situazione è cambiata quando proprio Wick ha deciso di prendere in mano la manutenzione del progetto. Alex Larsson e Owen Taylor — due figure storiche del mondo GNOME e dello stesso Flatpak — sono tornati a dedicare tempo al progetto, mentre nuovi contributori come Boudhayan Bhattacharya (bbhtt) e Adrian Vovk hanno iniziato a partecipare attivamente.
Questo ha permesso di smaltire la lunga coda di richieste arretrate e di riprendere un ritmo di sviluppo regolare, con le nuove pull request che ora vengono gestite in tempi ragionevoli.
Parallelamente, sono arrivate anche varie novità tecniche che dimostrano come il progetto sia tornato in salute. Tra queste:
- La possibilità di preinstallare applicazioni Flatpak su un sistema e gestirne automaticamente l’installazione e la rimozione.
- Un miglior supporto al formato OCI (quello usato nei container), che verrà sfruttato anche da RHEL 10.
- Un nuovo sistema di permessi retrocompatibile, che consente di introdurre restrizioni più granulari senza rompere la compatibilità con le versioni precedenti, ed è un passo importante verso una futura integrazione con il nuovo sistema audio PipeWire.
- La documentazione aggiornata per libflatpak, che era rimasta indietro.
Anche l’ecosistema attorno a Flatpak si sta muovendo: flatpak-builder è stato aggiornato, su Flathub sono stati introdotti strumenti per una migliore conformità alle licenze, e si lavora su componenti infrastrutturali come systemd-appd, che servirà per autenticare le istanze Flatpak e abilitare funzioni avanzate come il nested sandboxing. C’è fermento anche nel mondo KDE, che sta sperimentando nuove specifiche per migliorare l’integrazione e le funzionalità delle app Flatpak.
Chiosa finale a proposito del progetto “Flatpak-Next” che non sarà una riscrittura da zero, ma piuttosto un obiettivo di lungo periodo. I limiti attuali di Flatpak, a detta di Wick, non si risolvono semplicemente riscrivendo il codice, ma richiedono un’evoluzione più ampia dell’ecosistema Linux (con nuove API, politiche di sicurezza e strumenti di sistema).
Insomma, Flatpak ha superato una fase di crisi interna grazie al rinnovato impegno di sviluppatori vecchi e nuovi, e questa notizia ci ricorda ancora una volta quanto le tecnologie open-source, anche quelle che sono scelte da Red Hat Enterprise Linux e da Fedora, vivono tutte sull’equilibrio – instabile – costituito dalla base di volontariato.
Cercheremo di non dimenticarlo.
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.



















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