
Ogni volta che un neofita si approccia alla filosofia open-source si pone sempre una prima domanda: ma come si guadagna? Ed è una domanda più che lecita. Se il software è pubblico e liberamente utilizzabile, come fanno le aziende a generare introiti?
La risposta, che si impara subito, è racchiusa nel concetto di subscription. È vero infatti che il software è liberamente distribuito ed utilizzabile, ma se vuoi che questo sia pacchettizzato, certificato e che abbia seguito un percorso di garanzia della qualità (QA, Quality Assurance), ecco che ti puoi affidare ad un’azienda. Questa sostanzialmente dice che se paghi una quota allora il software open-source che usi è supportato per tutti gli ambiti descritti.
Rimanendo nel contesto delle sole distribuzioni Linux, tutti i player mondiali hanno le loro subscription.
Red Hat, che è stata la capostipite di questo approccio (guadagnandosi per questo la posizione di leader del mercato da praticamente trent’anni) supporta le proprie distribuzioni RHEL (Red Hat Enterprise Linux) fino ad un massimo di circa tredici anni, attraverso una sottoscrizione denominata ELS, ossia Extended Life Cycle Support.
In questo modo, un cliente che oggi dovesse installare RHEL 10 sui propri sistemi, saprà che (pagando) potrà vederli supportati sicuramente fino al 2038, anno più, anno meno, come dimostra questo schema:

Alla luce di questi dati, che ad onor del vero per Red Hat sono così da tempo, non stupisce leggere dell’ultimo annuncio di Canonical che presenta un’estensione alla sua subscription Ubuntu Pro che consente di portare a ben 15 anni il supporto alle proprie distribuzioni Long Term Support.
Il senso dell’annuncio è riassunto in questo schema:

La cosa interessante della proposta è come questa sia retroattiva, nel senso che viene fatto un esempio specifico relativo a Ubuntu 14.04 LTS la quale, grazie a questa estensione, sarà supportata fino ad aprile 2029, quindici anni dopo il proprio debutto.
Certo, in questo senso il primato rimane quello di SUSE che, con SLES 15, supporterà i propri clienti paganti fino a 19 anni, anno 2038, quando si avrà a che fare con il problema Y2K38.
Insomma, è una gara a chi supporta per più tempo.
Viene quindi da chiedersi: il prossimo step saranno le distribuzioni supportate a vita?
Lo spettro temporale dei 15 anni, per chi vive nel mondo informatico, è qualcosa di incommensurabile. Quindici anni fa, per intenderci, non c’era ancora Docker, Kubernetes non era forse nemmeno un’idea, di cloud quasi non si parlava. Insomma, era un’altra era geologica.
Quanto ha senso far funzionare oggi dei workload di produzione pensati per quel mondo?
Eppure, i lettori lo potranno dimostrare, qualcuno c’è, sicuramente.
Leggende narrano di datacenter popolati con RHEL 4. Sistemi talmente antichi e talmente intoccabili, da essere assurti a leggende, mito, qualcosa che si sussurra nei corridoi, sottovoce, con tono di rispetto.
Ma, scherzi a parte, ha senso?
Se c’è una cosa che i clienti hanno imparato dopo il ritiro di CentOS dal mercato open è che pensare a lungo termine è certamente una buona idea, ma un conto è impostare strategie e cicli di update e upgrade previsti, un altro è pensare che, pagando, tutti i problemi saranno risolti.
“Ci penseremo tra quindici anni”.
E intanto, il mondo si evolve per un’altra strada.
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.



















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