IBM lancia Appsody, Codewind e Kabanero, tre nuovi progetti OpenSource concorrenti di… OpenShift?

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In questi giorni IBM, l’azienda che non ha bisogno di presentazioni e che recentemente ha avuto spazio su queste pagine grazie all’acquisizione di Red Hat, ha annunciato ben 3 nuovi progetti open-source.

Iniziamo da Appsody, definito come un gruppo di tool e stack applicativi pensato per il Cloud; con lo scopo di semplificare la creazione di applicazioni all’interno di container, fornisce una serie di “Application Stacks” (ovvero pacchetti definiti di applicazioni basate su tecnologie multiple – ad esempio Tomcat + MySQL per semplificare) a cui gli sviluppatori possono attingere per avere un ambiente base standardizzato su cui creare la propria applicazione. L’idea è proprio quella di dare l’accesso, tramite CLI o interfaccia web, ad un repository centralizzato (che può essere pubblico o privato) da cui gli sviluppatori possono “pescare” uno stack applicativo, creare una struttura base ed iniziare a sviluppare.

Valore aggiunto l’integrazione di alcune funzionalità, come interfacce di monitoring, health-check e descrittori delle API implementate nell’applicazione. Il tutto generando, alla fine, un “oggetto applicativo” facilmente distribuibile su Kubernetes.

In secondo luogo troviamo Codewind, un progetto che porta integrazioni per famosi software di sviluppo (IDE), come Eclipse o VisualStudioCode al fine di renderli più semplici nell’utilizzo dei container. In parole povere, esattamente come viene presentato, “ti permette di sviluppare all’interno di container senza sapere di sviluppare all’interno di container“.

Questi due tool, insieme a Razee (un sistema di continuous delivery basato su Kubernetes di cui vi abbiamo parlato qualche tempo fa), ci portano al terzo progetto presentato da Big Blue: Kabanero.

Kabanero, di fatto, non fa altro che unire questi tre differenti progetti in un unico macro sistema che, una volta integrato nel proprio ambiente, permette di passare dal codice direttamente alla produzione rimuovendo tutte le frizioni intermedie, lasciando allo sviluppatore la libertà di procedere alle sue implementazioni senza dover preoccuparsi dell’impacchettamento e della distribuzione delle proprie applicazioni, ed ai sistemi la possibilità di monitorare, graficare, e mantenere in produzione del software che è stato costruito secondo uno standard ben definito.

La soluzione è molto interessante, anche se lascia un pochino perplessi: infatti, facendo un’analisi sommaria delle funzionalità generali non si può non notare la similitudine con un’altra soluzione, nata con gli stessi principi e che vuole risolvere gli stessi problemi: OpenShift!

Ed OpenShift, come ben sappiamo, è sviluppata proprio da quella Red Hat recentemente acquistata da IBM. Qui nasce la domanda: cosa ci dice di questa acquisizione il fatto che IBM ha appena presentato un prodotto che, di fatto, aveva già in casa? Ha senso che la stessa azienda presenti soluzioni differenti allo stesso problema?

Sicuramente il tutto ci lascia abbastanza perplessi, perchè se da un lato IBM (e Red Hat) assicurano indipendenza reciproca, questo non solo porta ad una “dispersione” di effort, ma addirittura a concorrenza interna.

Un aspetto positivo in ogni caso rimane: tutti i prodotti stanno sotto la bandiera dell’open-source, se non altro.

Utente Linux/Unix da più di 20 anni, cerco sempre di condividere il mio know-how; occasionalmente, litigo con lo sviluppatore di Postfix e risolvo piccoli bug in GNOME. Adoro tutto ciò che può essere automatizzato e reso dinamico, l’HA e l’universo container. Autore dal 2011, provo a condividere quei piccoli tips&tricks che migliorano il lavoro e la giornata.