init in Debian: ne rimarrà uno solo?

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Quando Debian, con la release Jessie (dell’aprile 2015), decise di usare come init primario systemd, creò molto malcontento: favorevoli e contrari si schierano tutt’ora uno contro l’altro in una vera e propria guerra. Tanto che è nata (almeno) una distribuzione Debian systemd-free: Devuan (di cui abbiamo spesso parlato).

In realtà il passaggio non è mai stato né assoluto, né completo: sono ancora mantenuti i pacchetti per altri init (come sysvinit), e molti servizi sono avviati più da script di init che da unit di systemd.
Il cambiamento di init era dettato – soprattutto – da problemi di dipendenze: alcuni software parecchio usati (GNOME, o Firefox, per dirne un paio) avevano (o stavano per avere) componenti esclusivi di systemd, come systemd-logind o DBus, tra i requisiti; mantenere sysvinit avrebbe costretto alcuni utenti a (più o meno) complicati switch di init. In particolare, si è cercato di agevolare gli utenti desktop che, spesso, sono i meno abituati a modifiche tanto sostanziali (e in profondità) del sistema.

Bene, quindi, tutti felici? Quasi: la scelta di mantenere sysvinit tra i pacchetti costringe ad avere sviluppatori e manutentori dedicati ad almeno ruoli:

  • Creazione/manutenzione dei pacchetti sostitutivi dei componenti di systemd (come elogind al posto del componente systemd-logind);
  • Verifica delle modifiche di qualunque pacchetto avvii un demone per garantire la presenza e compatibilità dello script di init – spesso usato anche dalle unit di systemd.

Tutta questa introduzione era necessaria per inquadrare quanto scritto qualche giorno fa da Sam HartmanDebian Project Leader (DPL), ovvero l’autorità massima nel progetto Debian – in una nota che riguarda proprio la sua attività di DPL. Gran parte di questa nota cerca di valutare lo stato delle cose nell’offrire la possibilità di cambiare init, e come andare avanti.
E la situazione non sembra delle più buone. Hartman prende in esame il caso di elogind, e di come i vari gruppi coinvolti (systemd, elogind, apt) abbiamo trovato difficoltà nel comunicare tra loro per risolvere i problemi, evidenziando la fatica e la frustrazione sorte.

Per questo, e da DPL, Hartman si interroga se continuare ad offrire un’alternativa a systemd, e nel caso offrire – e chiedere – maggiore supporto reciproco, o se abbandonare tale possibilità e accettare systemd come dipendenza mandatoria. Ma non sa quale sia la cosa migliore, e nemmeno se c’è una terza via.
Le domande rivolte a se stesso, con ogni probabilità, diverranno una General Resolution, ovvero una votazione aperta a tutti gli sviluppatori Debian per poter prendere una decisione – che poi dovrà essere seguita. E in questo caso la possibilità di lasciare solo systemd non è così remota.

Non sappiamo quale possa essere la strada giusta, ma segnaliamo che l’alternativa systemd-free esiste – e (almeno nel caso di Devuan) sembra apprezzata. Potrebbe aver senso concentrare lo sviluppo su due distribuzioni parallele, e avere libertà di scelta tra queste.

Forse troppa libertà di scelta è dannosa quanta nessuna libertà? Voi cosa votereste?

Ho coltivato la mia passione per l’informatica fin da bambino, coi primi programmi BASIC. In età adulta mi sono avvicinato a Linux ed alla programmazione C, per poi interessarmi di reti. Infine, il mio hobby è diventato anche il mio lavoro.
Per me il modo migliore di imparare è fare, e per questo devo utilizzare le tecnologie che ritengo interessanti; a questo scopo, il mondo opensource offre gli strumenti perfetti.

4 risposte a “init in Debian: ne rimarrà uno solo?”

  1. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    Il tormentone su systemd non finirà mai ! Personalmente sono più interessato che un sistema funzioni bene e che sia open source, il resto non mi interessa molto.

  2. Avatar Paolo Guglielmino
    Paolo Guglielmino

    Non basta che un componente sia Open Source. Imporre una certa Architettura di sistema è un dato di sostanza e non semplicemente di forma. Aldilà della valutazione che si può dare su Systemd, il problema fondamentale è la mancanza di modularità e di scelta. Anche Windows, tutto sommato, funziona. Ma non ammette scelte ed opzioni personali, Non ha alcuna modularità controllabile dall’utente, trasmette la percezione di una costrizione inammissibile. La stessa percezione che mi trasmette Debian con Systemd. Si perde il senso ideale del perché si usi Linux. Se Debian con systemd vuole fare il verso a svchost di Windows, allora non vedo perché non usare l’originale anziché la copia di una concezione centralizzata ed autoritaria del sistema operativo. Mi stupisco che la Comunità Linux non si sia posta seriamente questo problema politico. Forse è un segno di come, molta parte della Comunità attuale, ragioni in termini ormai molto lontani da quelli che erano i principi filosofici che ispiravano l’utilizzo di Linux.

  3. Avatar JustATiredMan
    JustATiredMan

    Che piaccia o meno nel mondo Linux resterà solo systemd, che molto presto ingloberà anche il kernel stesso.
    Se la cosa non vi piace è inutile puntare in distribuzioni systemd free.
    L’unica alternativa è andare su *BSD.

  4. Avatar cristianpozzessere
    cristianpozzessere

    Premetto che ho abbandonato del tutto la vecchia e buona Debian proprio a partire da Jessie per passare a Gentoo in quanto è ancora l’unica distro (metà distribuzione in realtà) modulare e che segue la filosofia kiss. In tantissimi abbiamo scelto di utilizzare os con kernel Linux proprio per questo e di sicuro non mi va di far saltare tutto per delle politiche quasi sovraniste (perché alla fine systemd non è solo un sistema di init). Debian ormai è un os desktop per le nuove generazioni. infatti della “vecchia guardia” c’è rimasto veramente poco. L’alternativa se sei proprio un accanito, rimane Devuan. Scrivo tutto questo con grande rammarico perché ho seguito e utilizzato Debian dagli albori.

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