Saturday’s Talks: Ubuntu Cinnamon non se la passa bene. Le distribuzioni remix (o spin) hanno ragione di esistere?

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Il recente post del lead developer del progetto Ubuntu Cinnamon ha aperto diverse riflessioni, almeno nella testa di chi scrive, in merito al senso di tutte quelle distribuzioni che potremmo definire collaterali alle principali.

Le difficoltà raccontate all’interno del post di Joshua Peisach, sono sostanzialmente due: il fatto di non poter usare più PPA (ossia i Personal Package Archive sostanzialmente gli archivi personali e non ufficiali) per i pacchetti del remix e le complicanze nell’aggiungere i pacchetti ai repository ufficiali di Ubuntu, per i quali servono contatti e permessi che Peisach non possiede.

Esito finale:

All development of Ubuntu Cinnamon Remix, after August 13th (a week after 20.04.1 Point Release) will be primarily focused on one thing-flavor status.

Tutto lo sviluppo di Ubuntu Cinnamon Remix, dopo il 13 agosto (una settimana dopo il 20.04.1 Point Release) si concentrerà principalmente su una cosa: lo stato del flavor (ed implicitamente non la sua integrazione).

Quindi nella sostanza il futuro sembra essere tutt’altro che roseo. Il che porta alle riflessioni cui accennavo in apertura sulle distribuzioni definite remix (o spin, nel caso di Fedora).

Queste hanno il merito di aggiungere tecnologie (il più delle volte desktop environment) che altrimenti non verrebbero degnamente tenute in considerazione. Quando scrivo “degnamente in considerazione” intendo non tanto che i pacchetti dei software aggiunti vengano resi disponibili, poiché lo sono quasi sempre nelle distribuzioni base, quanto che ci sia un grado di configurazione tale da ritenerli integrati nel sistema.

Il caso di Ubuntu Cinnamon non fa eccezione, di fatto rappresenta l’inclusione del desktop Cinnamon in Ubuntu, con l’aggiunta di icone, colori e una serie di pacchetti che fanno sembrare Cinnamon nativo all’interno della distribuzione.

Va però aggiunta una cosa, Ubuntu Cinnamon presenta un’ulteriore particolarità che spinge a chiedersi quanto abbia senso la sua esistenza ed il suo mantenimento. Infatti il desktop enviornment Cinnamon è distribuito ufficialmente all’interno della distribuzione Linux Mint, che a sua volta usa come base per il proprio core proprio Ubuntu, nella versione LTS (Long Term Support). Quindi, in parole povere, esiste già un remix di Cinnamon, ed è Linux Mint (della quale peraltro abbiamo raccontato i recenti problemi).

Certo, si potrebbe dire che se un utente volesse usare l’ultima Ubuntu (non LTS, magari la prossima 20.10) con gli ultimi pacchetti Cinnamon non avrebbe alternative al remix, ma è davvero un’argomentazione? Linux Mint è certamente definibile come una distribuzione, tanto che il team di sviluppo fa scelte diverse da quelle della madre (vedi la rinuncia a Snap), si può dire lo stesso di Ubuntu Cinnamon che di fatto aggiunge otto (8) pacchetti a quelli disponibili in Ubuntu?

Croce e delizia dell’open-source certo, ma pare più che altro un dispendio inutile di energie che potrebbero essere investite nei progetti esistenti. Una riflessione che mi auguro si facciano anche i maintainer del progetto, fermo restando come sia chiaro che ognuno è libero di fare del proprio tempo ciò che vuole.

Che ne pensate?

Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.

7 risposte a “Saturday’s Talks: Ubuntu Cinnamon non se la passa bene. Le distribuzioni remix (o spin) hanno ragione di esistere?”

  1. Avatar Kernelio Linusso
    Kernelio Linusso

    Premetto che sono totalmente d’accordo sulla scarsa utilità delle distro remix e che, comunque, non sono un fan di ubuntu ne delle sue derivate. Però una opinione la voglio esprimere su questa osservazione:

    “Certo, si potrebbe dire che se un utente volesse usare l’ultima Ubuntu (non LTS, magari la prossima 20.10) con gli ultimi pacchetti Cinnamon non avrebbe alternative al remix, ma è davvero un’argomentazione? ”

    No, non è “un’argomentazione”, è “L’Argomentazione”!
    Mint è di fatto inutilizzabile in molti computer recenti proprio a causa dei pacchetti obsoleti (kernel in primis), questo rende ubuntu cinnamon utile e comunque diversa da ciò che rappresenta mint e la sua filosofia.

  2. Avatar carlo coppa
    carlo coppa

    Ho smesso di usare tutto quello che è derivato tanto tempo fa ! Credo che il mondo Gnu/Linux in generale guadagnerebbe molto in qualità se si utilizzassero solo le distro madri. Arch, Fedora, Debian, openSUSE e me ne sfugge sicuramente qualcuna…Dopotutto chi se ne frega dei 50 DE in circolazioni tutti uguali ! Sarebbe sufficiente un DE GTK moderno e uno per vecchi pc, un DE QT moderno e una per vecchi pc. Purtroppo non succederà mai…

  3. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    Beh però un attimo… Mint è basata sull’ultima Ubuntu LTS, il che significa che supporta tutto quello che supporta la distro madre, backport compresi. Per intenderci, se è vero che inizialmente alcune schede WiFi ultima generazione di Intel non funzionavano su Ubuntu 18.04 e solo sulle successive, il supporto è stato poi backportato (vedi il kernel OEM che è chiaramente installabile anche in Mint), e di conseguenza acquisito anche da Mint.
    Di tutte le Remix, Spin e compagnia bella, l’unica che secondo me ha un senso compiuto è proprio Mint. Ed è per quello che secondo me in questo contesto il Remix Cinnamon è proprio solo un esercizio di stile.

  4. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    Concordo in pieno sulla chiusura. La soluzione ai problemi è talmente semplice da far pensare che il persistere dell’esistenza di queste “distro” sia solo ed unicamente una mostrina da appendere al curriculum.

  5. Avatar Raoul Scarazzini
    Raoul Scarazzini

    @likarov:disqus temo che l’esempio che hai fatto tu sia l’unico, poiché Debian è unica. Fedora, openSUSE, Ubuntu (di fatto una distribuzione a sé stante rispetto a Debian), sono tutte “pronte all’uso” e “comode”…

  6. Avatar Massimiliano
    Massimiliano

    L’ambito ideale di una distribuzione dovrebbe andare dal supporto HW fino al DE (più precisamente: al livello di interazione ritenuto adeguato con l’utente). Mettiamoci anche l’installazione e l’aggiornamento del sistema. Il tutto in modo omogeneo e coerente.
    I programmi impacchettati li abbandonerei: vorrei Flatpak. Desidero cioè un modo semplice di installare ed aggiornare le applicazioni, che sono quelle, a prescindere dal DE che si sceglie per ragioni in cui prevalgono gusti e abitudini.
    In quest’ottica le distribuzioni hanno ancora senso, se mantengono una finalità con una personalità.
    Una distro “moderna” dovrebbe puntare a macchine di generazione recente, con DE accattivanti, completi di tutto, che mostrano effetti e sfruttano accelerazioni. A costo di sacrificare il supporto a ciò che è appartenuto ad un’altra era (anche se di pochi anni fa). Viceversa, una distro “leggera” dovrebbe garantire un supporto adeguato ad HW non più di ultima generazione, equipaggiata con un DE capace di funzionare decentemente con le risorse a disposizione.
    Una distro “facile” sceglie per te l’equilibrio di componenti ritenuti più adatti (un auto chiavi in mano), quella “flessibile” tende a fornirti gli strumenti per plasmare il sistema secondo i tuoi gusti e le tue esigenze (un kit da montare).
    Il prodotto cartesiano di tutto con tutto non ha senso. Poco importa la libertà nel mondo open o la disponibilità del proprio tempo: non ha senso e basta. Portare avanti un sistema operativo ed i suoi layer (questo è Linux) è una faccenda sempre più complessa e costosa. Inoltre il fine richiede specializzazione: il desktop è diverso dal server, che è diverso dal cloud, che è diverso dall’embedded etc.
    La libertà in sé non riesce a sopportare l’onere che prima o poi rischia di schiacciarti: qualcuno prova a far sopravvivere i propri obiettivi creando simbiosi (o parassitismi) più o meno riusciti.
    Utenti e collaboratori del mondo open dovrebbero selezionare i progetti e le iniziative che hanno un senso, una finalità,
    per contribuire con le proprie forze (piccole o grandi) a sopportare il peso dell’evoluzione ed evitare l’estinzione.

  7. Avatar Carlo Gamna
    Carlo Gamna

    “Croce e delizia dell’open-source certo, ma pare più che altro un dispendio inutile di energie che potrebbero essere investite nei progetti esistenti. Una riflessione che mi auguro si facciano anche i maintainer del progetto, fermo restando come sia chiaro che ognuno è libero di fare del proprio tempo ciò che vuole.”

    Sottoscrivo. Purtroppo sembra inevitabile che gli sviluppatori Linux continuino a disperdere le risorse nello sviluppo di progetti del tutto marginali.

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