Cosa decreta il successo di una distribuzione Linux? Cosa stabilisce se una distribuzione ha ragione di esistere o meno? Sono domande che, almeno nel caso dei così detti “cloni di RHEL”, portano quasi sempre ad una divisione netta di opinioni: chi ritiene che non servano a nulla ed anzi sfruttino il lavoro di Red Hat senza dare nessun valore aggiunto, e chi ritiene che invece una loro ragione di esistere ce l’abbiano.
Opinioni che ovviamente dopo l’ormai storica dismissione di CentOS stabilita da Red Hat nel lontano 2020 trovano una o l’altra fazione arricchirsi di argomentazioni più o meno valide.
In questo contesto abbiamo sempre seguito la storia di AlmaLinux, l’unico fra i cloni di Red Hat Enterprise Linux a non aver aderito ad OpenELA (che ricordiamo essere l’associazione creata da CIQ, SUSE e Oracle per la condivisione dei sorgenti RHEL compatibili), osservando le conseguenze derivanti dalla scelta di garantire la compatibilità ABI (Application Binary Interface) con RHEL e non lo status di effettivo clone.
In un recente blog post del progetto è stata raccontata ad esempio l’evoluzione dei mirror di AlmaLinux, che nel corso della storia di questa distribuzione sono passati da uno (anche se a dire il vero nel 2021 erano già un centinaio) a quattrocento.
A colpire nella narrazione è lo spirito collaborativo che ha guidato questa evoluzione. In qualsiasi ambito, vedi quello ultra professionale di AWS, dove la base di installato di AlmaLinux è più importante ed esiste un sistema di mirror dedicato, fino alle università che mettono a disposizione lo spazio e la banda dei propri sistemi, colpisce come un progetto completamente community possa avere un tale grado di organizzazione e coordinamento.
Parlando di innovazioni con cui AlmaLinux cerca di differenziarsi, anche solo la modalità di sincronizzazione dei mirror di cui sopra rappresenta un esempio di eccellenza, tanto da essere considerato da chi lo utilizza il sistema di mirroring con le performance migliori.
E la cosa migliore in tutto questo è che la TODO list, ossia quanto ancora il progetto si aspetta di fare, è lunghissima, a testimonianza di come i miglioramenti non smetteranno di essere applicati.
Se questo non bastasse, si può tornare a pensare a quando la patch della CVE-2024-1086 è stata applicata in AlmaLinux prima che questa lo fosse in RHEL (tutto reso possibile proprio dalla compatibilità ABI di cui sopra). Oppure si può leggere questo articolo di Foss Force nel quale vengono citate altre occasioni in cui lo status di AlmaLinux ha consentito di intervenire per sanare situazioni in maniera indipendente da RHEL, addirittura per software che sulla carta non dovrebbero riguardare una distribuzione ritenuta server.
Nel caso specifico dell’articolo la fix riguarda un bug di un software per effetti speciali che ovviamente non aveva una priorità esagerata lato Red Hat, ma che per via dei contatti avvenuti nelle varie community ha consentito ad AlmaLinux di produrre la patch ed agli utilizzatori del software di testarla.
Il tutto, di nuovo, grazie al coordinamento di una community di volontari.
Troppo bello per essere vero? La misura di questo progetto la darà il tempo, ma i presupposti per una lunga storia di successo paiono esserci tutti.
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.
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