
Quando, quattro anni fa, venne decretata da Red Hat la fine di CentOS il mondo open-source assorbì molto in fretta lo shock, vedendo crearsi numerose soluzioni alternative che, di fatto, andavano a sostituire l’ormai defunto clone storico di Red Hat Enterprise Linux.
CentOS cessa di esistere? E noi prendiamo i sorgenti e ci facciamo la nostra distribuzione!
La stragrande maggioranza di quanti si trovarono a subire la chiusura non si preoccupò mai del fatto che un’alternativa gratuita – perché, parliamoci chiaro, alla fine è sempre stata solo una questione di soldi – ci sarebbe sempre stata.
E così si è iniziato a puntare su quelle distribuzioni alternative che noi abbiamo sempre seguito: AlmaLinux, Rocky Linux, ma anche Oracle Linux e addirittura SUSE con piani di zombificazione e accanimento terapeutico decennale per quanti non volevano schiodarsi da CentOS.
Due anni fa però un nuovo evento si impose all’attenzione di tutti, ossia il termine della pubblicazione dei sorgenti dei pacchetti RHEL su git.centos.org. Una mossa che, nelle intenzioni di Red Hat, voleva impedire il proliferare di tutti i cloni che altro non facevano che sfruttare il lavoro dell’azienda dal cappello rosso, modificando – a colpi di sed
– le diciture “Red Hat” in “Nome del clone“.
Più ancora della chiusura di CentOS fu questo a definire il panorama delle distribuzioni clone per come lo conosciamo oggi. Come raccontano questi articoli di The Register e The New Stack, rispetto agli iniziali obiettivi comuni di “binary compatibility“, comunità e governance aperta, ogni distribuzione oggi ha preso la sua strada.
AlmaLinux ha scelto la via della sola compatibilità ABI (Application Binary Interface), mentre le altre, Rocky Linux e Oracle hanno confermato l’impegno intorno alla compatibilità 1:1, costruendo i pacchetti partendo dai RPM sorgenti disponibili, metodi alternativi di recupero degli stessi (forse legati ad accordi di licenza con Red Hat, non si sa).
Risultato di questi sforzi: OpenELA, ovvero la Enterprise Linux Association, messa in piedi da Oracle, SUSE e CIQ (la compagnia dietro Rocky Linux). Obiettivo dichiarato? Fornire una base di sorgenti aperta e verificabile per chi vuole continuare a produrre rebuild di RHEL senza dover passare da Red Hat (che, ricordiamolo, lascia comunque i sorgenti disponibili dietro login o paywall che dir si voglia). Una specie di ONU dei cloni, con una verification suite creata per confermare la compatibilità di chiunque voglia utilizzare quei sorgenti. Almeno sulla carta.
E arriviamo quindi a tirare le conclusioni, vero senso di questo articolo che fino ad ora è stato un grosso riassunto delle puntate precedenti: con quale criterio un utente oggi dovrebbe scegliere una distribuzione Enterprise Linux piuttosto che l’altra?
Partiamo dall’aspetto economico. I prezzi delle subscription Red Hat, comparati alle alternative, sono i più alti, ma quelli di Oracle non sono certo lontanissimi e, dipendentemente dai pacchetti che si acquistano, Rocky Linux e AlmaLinux offrono supporto ognuna a suo modo.
ChatGPT mi ha aiutato a creare questo schema, ma è bene ricordare come sia tutto estremamente indicativo:
Distribuzione | Costo OS | Supporto commerciale | Prezzo indicativo |
---|---|---|---|
RHEL | No | Incluso | Standard: $879, Premium: $1.429 |
AlmaLinux | No | A consumo (TuxCare) | Su misura, preventivo a richiesta, con la copertura più ampia che non arriva a $ 400 |
Rocky Linux | No | Gratuito / CIQ | Gratuita (community) – CIQ: ~$25k (flat in modalità site license) |
Oracle Linux | No | Basic / Premier / Plus | $699 / $1.399 / $2.499+ |
Una cosa però è chiara: la “copertura totale” costa tanti soldi qualunque vendor si scelga. Alternativamente, non volendo pagare nulla, ciascuno dei cloni ha la sua versione completamente gratuita.
C’è poi l’aspetto tecnologico. Ognuno degli attori di questa recita fa le proprie scelte dipendentemente dai trend di mercato che vuole aggredire. Chiaramente Red Hat è il faro per tutti, ma se questo obbliga in qualche modo gli adepti ad OpenELA ad adeguarsi, la cosa non riguarda AlmaLinux che, ad esempio, può scegliere di continuare a supportare architetture che Red Hat ha deciso di abbandonare, vedi x86-64-v2.
A chi potrebbe giovare? A chi non può, o non vuole, cambiare hardware.
In conclusione, e fa sorridere un poco scriverlo, dalla fine di CentOS non è cambiato praticamente nulla.
Chi non voleva pagare supporto e servizi prima, non vuole farlo nemmeno oggi, e per questa categoria di persone un’alternativa vale l’altra. A meno di esigenze specifiche. Nel qual caso verrebbe da dire che la scelta passa dal tipo di supporto di cui si necessita.
Quindi per rispondere alla domanda del titolo di questo articolo si ritorna ad un aspetto che era valido tanto 4 anni fa, nel 2000 ed oggi: per saper scegliere la soluzione giusta ci vuole consapevolezza.
E la consapevolezza deriva da qualcosa che non si può comprare, ossia la competenza.
Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.
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