Il Post-Open di Bruce Perens può essere la soluzione ai problemi dell’open-source? Ecco cosa ne pensa la Free Software Foundation

In tutti gli articoli a proposito della gestione delle licenze open-source che abbiamo affrontato qui sul portale da quando la questione è diventata di attualità – e verrebbe da dire “da sempre” poiché sono ormai anni che Elastic ha avviato la discussione con il primo cambio di licenza – una cosa emerge sempre con chiarezza: c’è bisogno di un cambiamento.

Il modello open-source, così come era stato pensato, non è più sostenibile, o quantomeno è molto esposto alle fluttuazioni provocate dalle varie scelte delle aziende.

È importante notare come quando parliamo di “modello open-source” ci riferiamo a quanto postulato da Bruce Perens, autore, in un certo senso, del termine “open-source”.

Vivendo in prima persona questi tempi, Perens si è reso conto di come quanto aveva formulato a suo tempo non sia più applicabile oggigiorno e, come tutte le persone brillanti e risolute, ha proposto una soluzione a tutto questo, ciò che lui ha definito come Post-Open.

Questo nuovo sforzo cerca di risolvere i problemi oggi presenti nelle licenze FOSS (Free and Open Source Software) tradizionali, poiché le aziende hanno trovato scappatoie legali che permettono di sfruttare il software libero senza contribuire in modo equo.

Alcuni esempi sono il codice sorgente non reso disponibile o con vincoli aggiuntivi (vedi tutta la questione dei sorgenti CentOS inseriti dietro paywall da Red Hat), le App chiuse basate su software open (in iOS, Android), gli abusi nella terminologia open (come LLaMA di Meta) insieme alle ambiguità sull’uso dell’AI e dei dati di training.

Un bel ginepraio in cui muoversi ed all’interno del quale Perens ha voluto inserire i paletti mediante la licenza Post-Open, la quale nella sostanza è un ibrido tra licenza e contratto, basata su questi presupposti:

  • È gratuita per individui e non-profit.
  • È a pagamento per grandi aziende.
  • I fondi raccolti vengono reinvestiti nello sviluppo FOSS.
  • Include clausole sulla distribuzione dei derivati, gestione dei ricavi, revoca dei diritti.

Ma ovviamente queste definizioni portano con sé diverse altre domande: come si calcolano i pagamenti? Chi li raccoglie? Chi decide le quote tra i contributori? Le aziende accetteranno di pagare?

Le licenze attuali, pur imperfette, hanno dimostrato capacità di difesa legale, e l’esistenza delle distribuzioni cloni di Red Hat Enterprise Linux come AlmaLinux e Rocky Linux lo dimostrano, quindi il rischio è che una mossa sbagliata porti più danni al FOSS che benefici.

Tema indubbiamente complesso, ma molto, molto importante e cruciale per il futuro dell’open-source.

Per questo vale la pena leggere l’articolo di FOSS Force scritto da Bruce Byfield che riporta l’analisi della proposta Post-Open da parte della Free Software Foundation, attraverso le parole di Krzysztof Siewicz, che ricopre il ruolo di Licensing and Compliance manager nella fondazione.

Nell’analisi ci sono alcuni aspetti condivisi, alcune critiche, ed alcuni suggerimenti alternativi.

L’aspetto condiviso riguarda il vero problema: molti progetti FOSS sono sottomantenuti, con scarsa usabilità o curva di apprendimento ripida e tutti concordano nell’interrogarsi su come garantire un reddito sostenibile per gli sviluppatori.

Il problema secondo Siewicz è che la proposta sembra più orientata a revocare diritti in caso di violazioni, piuttosto che a spiegare chiaramente cosa sia concesso fare. Questo approccio, secondo lui, rischia di creare confusione e di ridurre la trasparenza per gli utenti.

Inoltre, se il modello permette di evitare di seguire le licenze libere a fronte di un pagamento, si apre la porta a un’erosione concreta delle libertà fondamentali del software libero: meno utenti avrebbero accesso al codice sorgente e reali diritti d’uso.

In conclusione, il problema principale del Post-Open, secondo la FSF è che questo sembra mettere il denaro davanti alla libertà, cosa che per la FSF rappresenta una minaccia per il movimento (e non potrebbe essere altrimenti, visti gli ideali che la guidano).

Quindi, almeno per il momento, una soluzione chiara non c’è, e forse mai ci potrà essere, ma almeno appare un atteggiamento mille volte più costruttivo rispetto al colpo di spugna rappresentato dalla creazione di fork che finiscono sotto l’ala della Linux Foundation.

Del resto le community, vero cuore pulsante dell’open-source, è questo che fanno, giusto?

Da sempre appassionato del mondo open-source e di Linux nel 2009 ho fondato il portale Mia Mamma Usa Linux! per condividere articoli, notizie ed in generale tutto quello che riguarda il mondo del pinguino, con particolare attenzione alle tematiche di interoperabilità, HA e cloud.
E, sì, mia mamma usa Linux dal 2009.

2 risposte a “Il Post-Open di Bruce Perens può essere la soluzione ai problemi dell’open-source? Ecco cosa ne pensa la Free Software Foundation”

  1. Avatar JustATiredMan
    JustATiredMan

    beh, è positivo che almeno ci sia un tentativo di adeguamento. Speriamo non finisca tutto in caciara e/o tarallucci e vino.

  2. Avatar Raoul Scarazzini

    Il problema è che tutti stanno cercando di risolvere il problema nella sua globalità, mentre in questo caso per come la vedo io andrebbe osservato il dettaglio.
    Ci sono aspetti su cui non ritengo sia necessario intervenire, e questi sono i contenuti delle licenze open, mentre altri su cui c'è urgenza, vedi il rimbalzo da open-nonopen-open ed il proliferare dei fork che si sta vedendo.
    Il dubbio è che non sia nell'interesse di nessuno risolvere il problema poiché, come scrivevo, penso che in un certo modo all'interno di questa situazione siano tutti più o meno contenti.

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